venerdì 29 luglio 2011

Fiori rosa fiori di zuccaaaaa


Ok ok, non sono rosa, ma consideriamola una licenza poetica :-D
Com’è noto, le mode imperversano anche nel mondo della cucina e ultimamente fa molto chic mangiare i fiori di zucca (più spesso, di zucchina). Notare che i fiori di zucca vengono citati in molte ricette della cucina “povera” e contadina di una volta. Era uno dei tanti modi per non buttare via niente e sfruttare al massimo l’orto e i suoi prodotti... mentre ora li si possono trovare in vendita a peso d’oro al supermercato! Probabilmente, per molti over 50 ingredienti di questo tipo (come anche i mazzetti di sclopìt o Silene, le giuggiole, le nespole e così via) sono per così dire proustiani, evocano un’infanzia contadina o l’orto della madre casalinga o ancora la casa in campagna della nonna e ritrovarli in città fa lo stesso effetto di ri-incontrare per caso un ex compagno dell’asilo. Poi vabbè, qualcuno si fa venire i flashback evocativi con madleinettes e infuso di tiglio e qualcuno con trippe e fagioli, dipende dal tipo di giovinezza che avete avuto :-D

domenica 24 luglio 2011

Della barbabietola non si butta via niente!!

 
Esatto, come per il maiale. Sorpresi? Io per prima.
Nell’orto dei miei le barbabietole compaiono ogni anno e danno sempre soddisfazione: diventano subito dei bugni enormi, viola e zuccherosi. Il loro colore acceso è dovuto non ad antocianine come pensavo io (sciocca ed immatura!), ma ad una classe di composti di natura diversa, le betalaine. Si tratta di pigmenti idrosolubili azotati generalmente distinguibili in betaxantine, di color giallo arancio (tipiche delle varietà più chiare) e betacianine, rosso-viola (Azeredo, 2009), di cui sicuramente le barbabietole dei miei sono piene zeppe. Le betalaine sono state osservate solo in alcune famiglie delle Cariophyllales, dove svolgono compiti simili a quelli delle antocianine. In effetti, pare che i due gruppi di composti si escludano a vicenda: piante che producono betalaine non possiedono antocianine e viceversa (Strack et al., 2003; Han et al., 2009). Le loro funzioni sono numerose: attrazione di impollinatori e disseminatori, protezione delle cellule dallo stress ossidativo, protezione dai raggi UV, protezione dalle infezioni batteriche (Piattelli, 1981; Sepúlveda-Jiménez et al., 2004; Han et al., 2009). Le betalaine interessano anche l’uomo: i consumatori infatti tendono sempre più ad evitare alimenti con coloranti sintetici e l’industria alimentare si adegua sostituendoli con carotenoidi, antocianine e, appunto, betalaine (Azeredo, 2009). Inoltre, pare che la loro potente attività antiossidante sia utile anche a noi mammiferi: alcuni studi (vedere su Tesoriere et al., 2004) indicano infatti che le betalaine vengono assorbite a livello intestinale, anche se non è ancora ben chiaro che cinetica abbiano poi all’interno del corpo umano. Qua potrei andare avanti per ore, perché la chimica secondaria di piante, funghi e licheni mi affascina tantissimo (come alcuni di voi ben sanno), ma mi sono resa conto con orrore che ho cominciato a scaricare papers sull’argomento (tra cui uno interessantisssssimo sui pathway biochimici che portano alla loro formazione, Han et al., 2009) e ciò non è bene, fa decisamente nerd per un post di cucina!

mercoledì 20 luglio 2011

Riduzione, riutilizzo, riciclaggio!



In questa dannata società del consumo buttiamo via senza remore la maggior parte delle cose che entrano nelle nostre case. Imballaggi di plastica, sacchetti di carta, vecchi vestiti, ma anche cibo scaduto, avanzi e cose che non sapremmo bene come riutilizzare.
Il riutilizzo, assieme alla riduzione dei rifiuti dovrebbero invece essere le colonne portanti del nostro comportamento in ogni campo, compresa la cucina, prima ancora del più famoso riciclaggio. Perché sprecare energia ed emettere anidride carbonica per smaltire o riprocessare qualcosa che potrebbe essere riutilizzata così com’è, oppure meglio ancora nemmeno prodotta?
Quindi, da brava personcina ecocompatibile, ogni volta che mi avanza qualcosa mi chiedo sempre come fare per non sprecarla e come riutilizzarla (anche perché la frase “non-si-gioca-col-cibo-sei-fortunata-ad-averne” ha caratterizzato la mia infanzia e ha marchiato a fuoco il mio inconscio con il concetto che buttare via il cibo è il MALE, è il vero primo peccato capitale, in confronto ira e lussuria sono bazzecole).


sabato 16 luglio 2011

E adesso cosa ci faccio con questa schifezza?


Mai successo di dire o pensare questa frase dopo un clamoroso fallimento in cucina? :-D
Bè, a me sì, più volte. L’ultima volta che ho pronunciato questa frase è stato pochi giorni fa, dopo aver tentato per la seconda volta la “crema rovesciata al limone” di Cucina Moderna di Aprile 2011. Ebbene sì, sono testarda e non imparo dai miei errori. La prima volta avevo palesemente fatto raggrumare la fecola di patate in fondo alla pentola e quindi ovviamente al momento di sformare quello che avrebbe dovuto assomigliare a un budino le cose non sono andate come dovevano. C’è stata una frazione di secondo di trionfo, in cui tutto pareva avere la giusta forma e consistenza, subito seguita da un sinistro rumore di sconfitta simile a quello di un palloncino simula scoregge (per intenderci) e uno smottamento di proporzioni bibliche (sob). La crema è stata quindi consumata semiliquida, a cucchiaiate, da me e dal mio incoraggiante moroso (bè, non è male, ha pur sempre un buon sapore! :-D). La seconda volta ho eseguito le istruzioni correttamente, ho stemperato la fecola perfettamente e ho mescolato a lungo, per essere sicura che la bastardona fosse nelle condizioni perfette per solidificare. Epic fail, stavolta era ancora più ributtante: completamente squagliata al centro, ma indissolubilmente legata alle pareti della formina e di una consistenza generale tipica del caucciù.
E qui si torna al punto di partenza. Che me ne faccio mo’ di ‘sta schifezza? Prendendo spunto dalla soluzione di una mia amica in overdose da crema all’arancia, una crostata! Ho risolto il problema diluendo la crema e facendola cuocere in uno scrigno di pasta frolla, anche se alla fine l’ho ridiluita un po’ troppo ed è riuscita un po’ liquida.. Ma basta non esagerare e tutto andrà bene oppure, anche meglio, basta seguire le nuove istruzioni. In ogni caso, anche se non solidifica del tutto vi assicuro che è moooolto molto buona e non ci saranno problemi a smaltirla in attesa di perfezionare il protocollo.
La ricetta:

giovedì 14 luglio 2011

Confessioni di una mente pericolosa


Non posso dire di aver sempre avuto la passione di cucinare. Da piccola ero ostinata: rifiutavo di imparare qualsiasi cosa che non mi venisse insegnato da un istruttore a mio parere adeguatamente qualificato, come una maestra o un allenatore (sì, sì, ero un piccolo mostro, non ho paura di ammetterlo) e quindi i tentativi di mia mamma di insegnarmi qualcosa in cucina sono sempre naufragati. Le uniche attività a cui mi dedicavo erano leccare ben bene le pentole sporche di besciamella o crema pasticciera, ripulire le fruste elettriche dai fiocchi di panna montata ed elemosinare piccoli pezzi dell’impasto crudo di pasta frolla: non si può dire che non fossi golosa!
Crescendo, il mio rapporto con la cucina è stato fieramente ostacolato dalle mie ferme convinzioni femministe (capitemi, avevo solo 12-13 anni :-D) e in particolare da un episodio piuttosto fastidioso causato da una mia professoressa di francese delle medie. La tapina aveva scatenato tutto il mio fastidio di ragazzina intransigente chiedendo alle sole femmine della classe quali fossero i piatti che più amavano cucinare... Ora, tutto questo mi era parso estremamente sessista e discriminatorio e quindi, in segno di protesta, arrivato il mio turno (dopo tutto un fiorire di crostate alla frutta, cioccolate in tazza e quant’altro) avevo dichiarato a testa alta “panino col formaggino!” scatenando l’ilarità della classe. Non che fosse vero: se mia mamma tardava da scuola mettevo su una pasta senza problemi, era solo una questione di principio!