martedì 7 febbraio 2012

E daghe la bora, che vien e che va...


“A me non dispiace la bora, molto meglio della pioggia e soprattutto della nebbia!”
Queste testuali parole erano state pronunciate da Giùf nel lontano 2005 (o addirittura 2004) e io ricordo come fosse successo ieri che la mia risposta era stata “Ma sei scema?”.
È sempre così. Quando arrivi a Trieste la prima volta hai bisogno della guida per ordinare un caffè, non capisci esattamente cosa sia un’osmiza e la bora non ti fa dormire la notte, ma dopo 6 anni passati a guardare i tramonti sul Golfo dall’edificio M tutto cambia. Ormai quando entro in un bar in Friuli devo concentrarmi per non sbagliare ordinazione, non vedo l’ora che sia primavera per rilassarmi all’ombra di un tiglio mangiando ombolo dopo un bel giro in Carso e lascia che passino due o tre giorni bigi e mi sentirai invocare la bora per spazzar via le nuvole e la nebbia dalle strade.


È buffo. La pagina di Nonciclopedia dedicata a Trieste afferma “Puoi scendere dal treno in stazione centrale e innamorarti, e sei fottuto”, ed è tutto vero. Come tanti altri studenti prima di te scendi da Trieste centrale schivando colombi e barboni alla ricerca di un buco in cui passare i 5 anni di università, e sempre come tanti altri studenti prima di te ti innamori della città, del Molo Audace, della “piazza più grande d’Europa aperta sul mare”, delle sue nostalgie asburgiche, di Barcola e Miramare, del rosso sommacco autunnale che infuoca in Carso e sì, anche della bora, delle battute scherzose sui lanfur e delle letali vecchine, note predatrici da autobus, sempre intente a sbottare “no se pol” all’indirizzo dei giovani impudenti e poi a farsi confidenze sessuali sottovoce (se non ci credete, chiedete pure alla Mary :-D) aspettando con trepidazione il momento clou, quando cioè potranno speronare tutta la muleria per scendere alla loro fermata. Ti innamori e sei fregato, ti entra nel sangue, diventa casa tua e se stai lontano troppo tempo inizia a mancarti il mare... e pensare che li ho sempre presi in giro, i triestini, per questa loro mania del mare!


E in questo lento, ma inesorabile processo la bora entra pian piano a far parte dello scenario complessivo, diventa un tassello del puzzle, la si accetta come si impara a tollerare i difetti delle persone amate. E sapete come va, spesso in un qual modo perverso si inizia quasi ad apprezzarli, questi difetti... l’eccessiva caparbietà di un figlio ci innervosisce, ma in segreto anche ci rende orgogliosi di aver messo al mondo una persona tenace, la troppa pazienza di un amico o un compagno (sì, a volte può anche essere troppa) spesso esaspera, ma in cuor nostro ammiriamo una tale bontà o un tale controllo di sè. E così anche la bora, sotto sotto, finisce per non stare troppo antipatica. Anzi, riporta il sereno in città e ci fa sentire un po’ superiori agli altri, a chi non è abituato ad andare al lavoro ignorando le gelide e potenti raffiche da Est Nord-Est. Sì, dà come un senso di orgoglio malsano, sapere che qualcuno sgrana gli occhi a guardare i servizi dei TGR mentre qua si va avanti e non ci si fa caso, al massimo ci si piega un po’ in avanti per continuare a camminare. Oh, tutto questo non vale più se iniziamo a parlare di bora scura :-D siamo mica mone :-DDD


Ad ogni modo, quando la bora soffia con impegno tutto ciò che desideri è di poterla sentir fischiare protetto dalle coperte o al massimo accoccolato sul divano con una bella tazza di tè bollente. In questi casi se la domanda è “che ci facciamo di dolce per cena” la risposta non sarà mai “semifreddo” :-D perché anche solo sentire l’ululato del vento mi fa venir voglia di qualcosa di caldo e coccoloso. E così ricorro ad un classico di casa mia e della mia infanzia, la frutta cotta. La preparava sempre mia mamma in autunno o inverno e mi ricordo che anche se non è un dolce pannoso o elaborato mi è sempre piaciuto affondare il cucchiaino nelle mele ammorbidite dalla cottura e addentare le prugne miracolosamente reidratate. E allora, frutta cotta sia!
Mele, pere e prugne cotte, ingredienti per due piccole porzioni:


una mela
una pera Kaiser
6-8 prugne secche
2-3 cucchiai di zucchero
una stecca di cannella
3 chiodi di garofano
mezza stecca di vaniglia

Versare una tazza scarsa d’acqua in un pentolino con zucchero e spezie e portare a bollore. Sbucciare e tagliare a cubetti la pera e la mela e aggiungerle assieme alle prugne allo sciroppo bollente. Lasciar cuocere a fuoco medio-basso per 30 minuti o finché la frutta è tenera e il liquido è diventato deliziosamente dolce e sciropposo. Servire ben caldo. 


Il giorno dopo ne ho fatta una seconda versione, solo di pere e con aggiunta di un bicchierino di vino rosso, più cannella e cardamomo. In realtà avrei preferito del Marsala al rosso, ma l’ho finito da mo’ e non si può avere tutto. Ad ogni modo il tocco alcolico non sta niente male, è un’ottima aggiunta al protocollo originale. Sempre se non è per i bambini!
Ultima foto per gentile concessione di Giùf.

4 commenti:

  1. oh fuxi cara.....sono così fiera di te!!!!!! sei (quasi) una triestina vera!!!! :-D

    GiuF

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  2. ...se si pensa che sei figlia di due carnici doc!!! (o quasi) Quanta poesia e quanto trasporto per quella che ormai sento che è diventata la tua città. Povera me, una figlia triestina, sembra una maledizione!

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