venerdì 7 ottobre 2011

Ridi ridi che la mamma ha fatto gli gnocchi... di zucca!



Eh già. Come dico sempre verso fine Agosto/ inizio Settembre, l’estate è finita e non tornerà mai piùùùùhhh!!!! Vabbè. Arriva appunto l’autunno ed inizia ad essere tempo di zucca. Le zucche (Cucurbita sp.) appartengono allo stesso genere della zucchina e in effetti esistono varietà di zucchina che se lasciate crescere molto a lungo possono essere mangiate come zucche. Ma si potrebbe anche pensarla al contrario, cioè che si tratta di zucche che se raccolte troppo presto si possono consumare come zucchine, fate un po’ voi :-D. Un esempio è quello della foto qui sotto: il mostro gigantesco che vedete può essere consumato come zucchina se raccolto diversi centimetri fa, ma se lo lasciate diventare arancione, miracolo: sa di zucca, anche se con un aroma decisamente più delicato. Gli anglosassoni e i francesi riflettono tutta questa varietà di forme con una maggior presenza di nomi volgari per indicare le diverse cultivar: butternut squash, red kuri squash, acorn squash, pumpkin ecc, mentre noi ci limitiamo a dire “zucca”. In effetti gli americani in particolare hanno molto di più la “cultura della zucca” di noi: vedi Halloween, o la maggior quantità di ricette di dolci (e altro) a base di la zucca oppure infine il celeberrimo orto dei cocomeri di Linus!


Da tutto ciò si capisce che nel regno di zucche e zucchine c’è una certa confusione di tipo sistematico: zucche e zucchine appartengono a specie diverse? O si tratta di sottospecie? O di semplici varietà? Quante specie di zucche esistono? Qual è il grado di variabilità intraspecifica? La risposta a tutte queste domande non è per nulla banale e neppure agraria.org mi ha soddisfatta: qui si limitano a distinguere zucche da inverno (quelle consumate come zucche) e zucche da zucchini, ma non si capisce bene che relazioni ci siano tra queste ultime e a che specie appartengano. La risposta a quasi tutte le mie domande l’ho trovata leggendo Teppner, 2004: è un meraviglioso paper di più di 60 pagine, veramente ben fatto e interessante! Ecco quindi ciò che ho scoperto. Il genere Cucurbita è stato introdotto dall’America verso il 1500 e comprende sia specie selvatiche che coltivate. Sono rimasta molto sorpresa scoprendo che parecchie forme selvatiche e ornamentali sono fortemente amare e velenose a causa della presenza di cucurbitacine. Ma quando dico fortemente intendo che l’Autore addirittura raccomanda di non inalare la polvere dei frutti secchi, quindi occhio: che non vi salti in mente di assaggiare per curiosità varietà ornamentali, eh! Il frutto è una bacca (incredibile eh?), anche se di tipo un po’ particolare: in inglese viene detta “armour berry” per indicare che la parte esterna è piuttosto dura mentre quella interna è carnosa quando matura. Ma tornando al problema che ci stava a cuore, cioè la sistematica, l’Autore divide il genere in 6 gruppi e indica tre specie principali coltivate e commercializzate in Europa: Cucurbita maxima, C. moschata e C. pepo. Cucurbita maxima occupa un gruppo distinto, mentre C. moschata e C. pepo sono riunite assieme e quindi sono più affini. A loro volta, le specie sono suddivise in sottospecie e queste in varietà e cultivar. Vi pare complicato? Eh già, lungo e complicato! Ma andiamo con ordine.
Cucurbita maxima si divide in due sottospecie: la prima è selvatica e da questa deriva la seconda, C. maxima subsp. maxima, coltivata. Ha frutti sempre rotondi, ma di forme e colori diversissimi, con buccia arancione o verde. Sono note diverse cultivar, tra cui “Buttercup”, molto in voga negli USA e “Atlantic Giant”, famosa perché usata per i record di grandezza.
Cucurbita moschata ha anch’essa frutti di dimensioni e colori variabili, ma in qualche varietà sono coperti da uno strato ceroso. Una cultivar piuttosto famosa è la “Butternut”, con frutti arancio-marroni che portano i semi solo ad un’estremità.
Cucurbita pepo, infine, ha una varietà di forme davvero impressionante: è qui infatti che si trovano le zucchine, ma non solo! Il paper riporta quattro sottospecie a loro volta divise in varietà e cultivar. Cucurbita pepo subsp. ovifera var. ovifera comprende ad esempio la “Acorn squash”, mentre la maggior parte della diversità è raggruppata nella sottospecie C. pepo subsp. pepo. Qui possiamo trovare frutti sia rotondi che allungati (cilindrici o ingrossati all’estremità) a polpa gialla e biancastra: le cultivar si sprecano e l’Autore ha preferito raggrupparle. Un primo gruppo comprende le tipiche “pumpkin”, tra cui la famosa “Citrouille de Lorraine” e la classica zucca di Halloween; poi ci sono proprio loro: le zucchine! E infine le cosiddette cocozzelle (ma attenzione, non Lagenaria che è un’altro genere proprio) e il gruppo delle cultivar ornamentali. In pratica, per tirare le fila di tutto quanto, le zucchine non sono che alcune cultivar di questa sottospecie: non si tratta quindi di una specie o una sottospecie ben distinta dalla zucca. Potremmo piuttosto parlare di un continuum di forme, senza una netta separazione. Che bella, la botanica! Ehr.. dite di no? :-D
I nomi pumpkin e squash, se ve lo stavate chiedendo, non individuano un gruppo in particolare: il termine squash, ad esempio, viene usato sia per alcune cultivar di C. moschata e C. pepo che per una cultivar di C. maxima.
Per finire, due parole sulle sostanze chimiche. Le zucche sono particolarmente ricche di carotenoidi e in particolare di β-carotene, come tutte le verdure di colore arancione e alcuni frutti (Barbosa-Filho et al., 2008). Come mai il β-carotene ci interessa tanto? Bè, perché alcuni dei suoi isomeri costituiscono la provitamina A e sappiamo bene che le vitamine possono solo essere assunte dal cibo, noi non siamo in grado di sintetizzarle (Muntean & Muntean, 2005). La zucca ovviamente non si consuma cruda e può sorgere spontaneo un dubbio: l’allegra provitamina A che io voglio a tutti i costi ottenere dalla suddetta zucca sarà ancora disponibile dopo la cottura? Ebbene, la risposta è sì! Secondo Azizah et al. (2009) bollendo o friggendo per 2 4 o 6 minuti dei piccoli pezzetti di C. moschata molte sostanze fenoliche scompaiono, ma pare che il licopene e il β-carotene addirittura aumentino! Quindi via libera alla cottura per pochi minuti :-D anche se io di certo non cuocio per così poco tempo! Un risultato più ragionevole lo offre il paper di Muntean & Muntean (2005), che prova a cuocere pezzi di Cucurbita maxima in forno a 250°C (sboroni!! :-DDD) e in acqua bollente per 10 20 e 30 minuti. Gli Autori trovano che in effetti le concentrazioni di provitamina A diminuiscono dopo la cottura, ma che comunque ciò che rimane è più che sufficiente per il fabbisogno giornaliero: 500-600 μg si possono trovare in 200-300 g di zucca bollita o fritta! Evviva! :-D

Ma passiamo al lato mangereccio. Tutto questo casino io l’avevo fatto per cercare il nome della varietà o cultivar che usa mia mamma per questa ricetta, ma getto la spugna. Potrebbe essere una C. maxima Buttercup, ma non posso giurarci e comunque mi sa che quest’informazione non vi gioverebbe più che troppo al momento dell’acquisto. In ogni caso si tratta della zucca che potete vedere nella prima foto: buccia verde scuro, polpa arancione brillante e molto soda. Decisamente soda. Soda del tipo che per togliere la buccia rischiate di svenarvi, per capirci. Quindi fate attenzione! Ecco a voi quindi i fantastici gnocchi di zucca della mamma, per 5 persone o 4 molto golose:

1 kg di zucca curata e cotta a vapore
350 g circa di farina
1 uovo e 1 tuorlo
qualche cucchiaio di formaggio grattato
qualche cucchiaio di pangrattato
ricotta affumicata
burro
salvia


Ridurre finemente in purea la polpa della zucca e mescolarla alla farina evitando i disastri... questa ve la devo raccontare: avevo deciso di fare solo 2 porzioni e poi come una farlocca ho buttato TUTTI i 300 g di farina. Ho dato una mescolata, mi sono fermata... Nooooo!!! Ho dovuto setacciare via 150 g di farina imprecando contro la mia stupidità :-DDDD. Vabbè, distrazioni a parte, amalgamare anche l’uovo e il tuorlo, il formaggio grattato e il pangrattato. La mamma mi ha detto che non serve salare: la zucca è saporita di suo e comunque il formaggio aumenta la sapidità. Scaldare abbondante acqua salata in una pentola e quando bolle versare l’impasto poco per volta a cucchiaiate. Raccogliere gli gnocchi che affiorano alla superficie con un mestolo forato e disporli nei piatti. In un pentolino a parte fondere del burro con la salvia e quando inizia a sfrigolare condire gli gnocchi. Ultimare con un’abbondante grattugiata di ricotta affumicata.


Devo dire che sono piuttosto soddisfatta del mio primo tentativo in solitaria: alla mamma vengono più morbidi, ma pazienza, vorrà dire che la prossima volta metterò meno farina oppure meglio ancora eviterò di combinare danni :-S. In ogni caso, non è per niente un protocollo difficile, fidatevi!

Bibliografia:

Azizah A.H., Wee K.C., Azizah O., Azizah M., 2009. Effect of boiling and stir frying on total phenolics, carotenoids and radical scavenging activity of pumpkin (Cucurbita moschata). International Food Research Journal, 16: 45-51.

Barbosa-Filho J.M., Alencar A.A., Nunes X.P., de Andrade Tomaz A.C., Sena-Filho J.G., Athayde-Filho P.F., Silva M.S., Vanderlei de Souza M.F., Leitão da-Cunha E.V., 2008. Sources of alpha-, beta-, gamma-, delta- and epsilon-carotenes: a twentieth century review. Brazilian Journal of Pharmacognosy, 18(1): 135-154.

Muntean E., Muntean N., 2005. HPLC assessment of provitamins A from raw and cooked fruitsof Cucurbita maxima Duch. The Annals of the University Dunarea de Jos of Galati, 1(6): 54-59.

Teppner H., 2004. Notes on Lagenaria and Cucurbita (Cucurbitaceae) - review and new contributions. Phyton, 44(2): 245-308.

2 commenti:

  1. yep! It's very good, it comes from my parent's orchard. Wanna have the recipe in English?

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