Viviamo in un mondo assurdo. Un mondo in cui metà di noi non ha di che mangiare e la restante metà è obesa. Un mondo in cui inquiniamo e lo chiamiamo progresso. Un mondo in cui da una parte del globo si buttano tonnellate di cibo eccedente mentre in Africa manca anche il pane.
Questa la mia introduzione odierna. Parrebbe qualcosa di serio eh? In realtà non sto per scomodare davvero gli squilibri tra Primo e Terzo mondo. Non sto annunciando che ho deciso di mollare il cicione e iniziare a lavorare per Médecins Sans Frontières (povero cicione!). Voglio solo condividere con voi un piccolo esempio di follia del mondo moderno a cui ho assistito durante l’ormai passato weekend lungo.
Piccola premessa: in Carnia esiste solo una cosa più pericolosa dell’arrampicata libera. Ed è la raccolta di frutta dagli alberi che punteggiano i ripidi pendii tra una casa e l’altra. Sono TUTTI di qualcuno. Tutti. Poco importa se magari l’erba ai loro piedi è tappezzata da una fitta coltre di frutti sulla via della marcescenza: se verrete beccati nell’atto di tendere la vostra pargoletta mano a una mela c’è un serio rischio di linciaggio, con annesse minacce truculente. Se non ci credete, chiedetelo anche al Carducci :-DDD
Ciò detto, torniamo all’episodio in questione. Le riserve di cibo, si sa, non sono infinite, men che meno le nostre. Così lunedì siamo scesi a Paluzza per comprarne un po’ e magari fare due passi. Tra pane, affettati e formaggini si dovevano prendere anche degli ortaggi e così siamo andati nell’unico negozio di frutta e verdura del paese. Mentre storcevo il naso di fronte alle mele di plastica esposte qua e là, la padrona si scusava con la sua clientela abituale, lamentandosi del fatto che il giorno prima (festivo) era stato interdetto l’accesso all’autostrada al camion dei rifornimenti e quindi l’assortimento era piuttosto limitato e non particolarmente fresco. Transeat, ho pensato. Abbiamo pagato, la spesa è stata depositata in macchina e poi ci siamo avviati tra le stradine del paesello per goderci in tutta calma e senza fatica le ore di sole migliori. Quand’ecco, voltato l’angolo, ci si presenta uno spettacolo ben poco edificante, per la precisione quello della foto qua sotto: una casa abbandonata con una mezza dozzina di peri i cui frutti nascondevano alla vista erba e asfalto. Non so quante pere fossero a terra, ma lo spiazzo davanti al cancello era coperto da un tappeto di frutti e vespe e così lo spiazzo erboso a fianco della casa. Oh, ovviamente mentre i peri dei miei stentano e fanno 3-4 piccole fetecchie legnose, questi erano carichi come muli da soma di frutti praticamente senza imperfezioni. Non avevano neppure risentito della caduta, c’erano pochi esemplari ammaccati e quasi nessuno marcescente. Ne ho raccolta una dall’erba (FUORI dal cancello, per amor di Dio!) e in effetti devo dire che il sapore non era splendido, sono frutti poco zuccherini. Ma insomma, non erano neppure male e così abbiamo fatto man bassa di quel che era già caduto e non si trovava all’interno dei sacri confini. Sentendoci anche un po’ osservati e un po’ in colpa :-DD Pochi metri più in là, sulla strada che porta al cimitero, stessa scena: un melo carico di graziosissime meline color rosso fuoco la cui maggior parte giaceva a terra! Qui non abbiamo osato raccogliere, l’albero era di fronte a una casa abitata e ciò che stava per strada era invaso da mosconi e vespe... peccato, perché queste sì, che avevano un sapore da manuale. Vi rendete conto? Da un lato ci sono alberi che non si sa bene di chi siano stracarichi di frutta che nessuno osa cogliere e dall’altro c’è l’ortofrutta che si rifornisce di materia prima scadente e non del tutto fresca, provata da viaggi in camion da località in stramalora... che mondo è diventato?
A parte i pensieri amari (che ancora occupano la mia mente) adesso resta lo smaltimento di pere bellissime, ma non eccelse, che chiaramente non possono essere mangiate tutte au naturel. Il primissimo pensiero che ho avuto è stato che una mia ex coinquilina (di cui non conservo un bel ricordo) mi aveva fatto assaggiare una sua marmellata di pere e vanillina, di cui invece sì che conservo un bel ricordo :-DD Quindi ho deciso di provare a rifarla, ma usando vaniglia vera, così si vedono anche i semini, che fa molto fashion :-)
Marmellata di pere e vaniglia:
1,5 kg di pere, peso al netto di buccia e torsoli
900 g di zucchero
il succo di un limone
1 stecca di vaniglia
Tagliare le pere, cospargerle con il succo di limone e metterle in una pentola bassa e larga assieme allo zucchero. Aggiungere i semini della vaniglia e il baccello, lasciar riposare un paio d’ore e poi portare ad ebollizione. Bollire mescolando per 6 minuti, spegnere il fuoco, frullare la gran parte del composto e lasciar intiepidire. Riportare ad ebollizione, mescolare per altri 6 minuti, spegnere e invasare bollente. Sterilizzare con le dovute cautele (vedi qui).
Il sapore è proprio quello che volevo. Vaniglioso, anche troppo secondo mio padre, ma lui non conta, sarebbe capace di storcere la bocca di fronte a parti per milione di vaniglia :-DDD E d’altro canto, la dolcezza viene compensata dalla consistenza granulosa, quasi ruvida che si percepisce sulla lingua dovuta alle sclereidi delle pere. Sono proprio contenta di averle raccolte, la marmellata è venuta buonissima e così anche le pere cotte e un originalissimo risotto pere e pesto di salvia di Cucina Moderna di Ottobre 2011... sono l’ideale per il contrasto dolce-salato perché sono consistenti e non troppo zuccherine. E speriamo che questo mio post abbia il potere di farvi guardare un po’ di più intorno e a farvi evitare gli sprechi.
Non male questa marmellata! Dove abito io non si vedono alberi carichi di frutta, ahimè, ma ad esser sincera io non è che vada poi così d'accordo con le pere...
RispondiEliminaCerto, fatte così è un'altra storia! :)
Ciao!
RispondiEliminaScusami se non ti ho risposto subito alla domanda sul mio contest ma ero fuori...ok anche farina di castagne.
Bacio
ah, grazie :-)
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